Renè era seduto al solito bar dove ogni giorno sedeva, composto, sulla solita sedia. Come se mani attente lo avessero costruito ed assemblato lì, un pezzo alla volta. Il braccio in quella posa intelligente, il colletto della camicia stirato con cura, il baffo sereno accasciato sulla destra per far spazio al solito sigaro. Un piede oscillava su e giu per l’asse dei suoi pensieri… e quel calzino così curato che usciva dall’orlo del pantalone era una delizia per gli occhi: un decoro romboidale e bluastro che contrastava ferocemente con le scarpe marroni.
Renè sedeva e sorseggiava il suo caffè con la noncuranza delle cose antiche, delle cose che ti hanno visto passare un migliaio di volte e sanno già quante volte inciamperai sulle tue giovani gaffe. Mentre così composto svolgeva i suoi soliti atti quotidiani la seguente scena si presentò ai suoi occhi. Non che lui stesse effettivamente osservando, ma una voce vicina attirò la sua attenzione per il tono sommesso in cui veniva pronunciata.
Al tavolo accanto infatti, immersi in una conversazione ridicolmente privata per il contesto in cui si trovavano, due uomini stavano discutendo.
– Non così però. Serve un modo più astuto. –
– E cosa hai in mente allora? Dimmi tu se hai un’idea migliore –
– Ma non lo so, guarda, ci sarebbe da coinvolgere Serena, lei si che ci sa fare con la signora. –
Il contenuto della conversazione non era affatto chiaro, ma i toni e i modi di fare dei due erano curiosi, per così dire.
Renè notò che l’uomo poco prima identificato come Marco stringeva i pugni sul tavolino grigiastro davanti a lui. Nervosamente si guardava intorno ogni tanto, come se si aspettasse un’interruzione improvvisa. Era un bell’uomo distinto, ma l’attegiamento attuale lo vedeva curvato su di un pensiero. L’altro uomo era di spalle, ma Renè aveva avuto un’istintivo timore nel vedere le sua braccia muscolose appoggiate alle ginocchia.
– Si, ti dico che è la cosa migliore. Si è vero, introdurre anche lei ci darebbe qualche rogna, però semplificherebbe il tutto notevolmente, non puoi non averci pensato anche tu – insistette l’innominato
– Ma si che ci ho pensato. Il problema è che non so fino a che punto lei possa accettare. E se dovesse rifiutarsi? cosa facciamo a quel punto? – Marco aveva abbassato la voce.
Renè faticava a sentire, il suo udito non era più quello di una volta. La conversazione era ambigua, certamente, ma fino a che punto? Avevano parlato di una signora da trattare con astuzia. Poteva essere qualunque cosa, un atto di compravendita, un affare. Per quel che Renè ne sapeva, poteva trattarsi di convincere un’anziana babysitter a fare turno doppio, e poi questa Serena da convincere, ancora una volta, non abbastanza elementi.
Il corpo anziano di Renè si inclinò leggermente, come se due centimetri di vicinanza in più potessero veramente compensare l’udito che gli anni gli avevano tolto gradualmente.
– No no, hai ragione. Va bene allora, oltretutto non serve, guarda, secondo me stiamo tranquilli. Abbiamo già l’idea, non dobbiamo pensarci troppo. –
Marco però aveva un volto turbato.
– Facciamo così, ci penso io alla signora. – E abbassando la voce – Le chiedo un bicchiere d’acqua, andiamo in cucina, magari fingo di non sentirmi bene. Non ti preoccupare avrai il tempo. – e la schiena dell’uomo senza volto si rilasso sullo schienale.
Renè era adesso preoccupato. Ormai gli sembrava piuttosto chiaro che i due erano veramente mal intenzionati, probabilmente avevano intenzione di derubare una signora, nella sua stessa casa!
La sua posizione composta iniziò a cedere. Renè si agitava sulla sedia nervosamente, come chi cerca una introvabile posizione comoda sulla peggior sedia mai concepita.
– Vediamo, non sono convinto. Forse dovremmo lasciar perdere –
– Mannò, stai tranquillo. Non si accorgerà di niente vedrai. –
Renè a questo punto si sentiva turbato. Doveva fare qualcosa? Certamente era l’unico ad aver potuto udire quella conversazione, nessun altro era seduto ai tavoli e solo un’altra persona si trovava al bancone, dall’altro lato del bar. Ma cosa fare? Non poteva certo rivolgersi direttamente a loro, cosa ne avrebbe concluso? E poi non sapeva che cosa avrebbero fatto, erano persone abbastanza losche da progettare una rapina in un bar di prima mattina, cosa poteva aspettarsi da tipi così?
Mentre Renè ponderave le sue limitate opzioni, i due improvvisamente si alzarono. Renè era così concentrato sui suoi pensieri che aveva smesso di seguire i loro discorsi. Cosa si erano detti?
Non importava, aveva sentito abbastanza. Qualcosa sarebbe successo, ma dove? e quando? e soprattutto a chi? Come procedere?
I due avevano finito di pagare e si avviarono verso l’uscita e in un istante, come erano entrati nella sua vita, erano usciti.
Renè si sentì come paralizzato. Almeno una decina di possibilità gli balenarono in testa. Alzarsi e rincorrere quei due, dire qualcosa per far cambiare idea a quel Marco, magari favorire il dubbio nelle sue parole. Ma era già troppo tardi.
Chiamare la polizia! Ecco, poteva avvvisare le autorità. Cosa dire però? cosa aveva sentito? I due avrebbero semplicemente smentito e poi chissà, magari l’avrebbero seguito fino a casa sua per una facile vendetta. I due erano ormai usciti completamente dal suo campo visivo, che informazioni aveva effettivamente? Un volto ed un nome proprio, delle parole origliate, e nessun indizio su chi fossero e dove stessero andando.
Renè rimase agitato per altri 5 minuti, un senso di angoscia lo pervadeva. L’irrequietudine di un’azione incompiuta, di un presagio molesto. La sua inattività gli provocava un enorme fastidio, interiore, un prurito che non potesse essere grattato via.
Con il passare dei secondi, tuttavia, la vicenda si semplificava nella sua testa. Si forse avevavo intenzione di rapinare qualcuno, ma non erano nemmeno sicuri. Sicuramente non avevano intenzione di fare del male a nessuno. Potevano essere disperati, Renè non sapeva abbastanza della situazione.
L’angoscia che fino a pochi minuti prima l’aveva assillato si era lentamente pacata. Renè si rese conto che il suo sigaro era terminato, e lui non ne aveva più preso una soffiata dall’inizio di quella conversazione origliata.
Spense il sigaro che ancora riscaldava il suo baffo curato, lentamente si drizzò sulla sedia. Non riusciva a perdonarsi veramente di non aver agito, ma ormai era troppo tardi, non c’era veramente niente che potesse fare, no?
Sarebbe andato tutto bene, magari li avrebbe rivisti, avrebbe potuto capirne di più. Si ripromise di frequentare il bar più spesso, e di agire alla prossima occasione.
Renè si alzò, come mosso da un’improvvisa sicurezza, si avviò al bancone e sorrise amaramente al cassiere che gli augurava una buona giornata.
Camminò dritto fino a casa, con i calzini umidi, dentro le sue scarpe consumate.